Carlappiano costituisce uno dei siti chiave individuati dal progetto ERC Advanced nEU-Med (2016-2021) per indagare in profondità i caratteri dello sfruttamento diacronico delle risorse nella fascia costiera medio tirrenica, legandosi alla stagione di ricerca avviata negli anni ’90 dall’Università di Siena che ha avuto come oggetto il territorio storicamente connesso all’antica città di Populonia.  Nei mesi di settembre-ottobre 2016 è stata condotta una campagna di scavo archeologico che ha portato in evidenza i resti di una salina di epoca tardo-medievale e messo in luce i caratteri di uno sfruttamento della risorsa salina che con ogni probabilità si collega ad una tradizione di sfruttamento che risale alle prime attestazioni presenti nell’area a partire dal Bronzo Finale.

 

L'area di indagine del progetto ERC nEU-Med e il sito di Carlappiano

Il contesto storico e ambientale

Il sito di Carlappiano si posiziona su una duna, lungo un tratto di costa bassa e sabbiosa del golfo di Follonica, nella pianura costiera del Fiume Cornia. Un lido separava dal mare una vasta laguna interna alimentata da una serie di corsi d’acqua che attraversavano la pianura alluvionale con il loro carico di detriti. Le indagini archeologiche e geomorfologiche hanno permesso di definire alcuni tratti essenziali del paesaggio nel quale il sito di Carlappiano si inseriva, prima dei mutamenti profondi del secolo XIX secolo prodotti dalla stagione delle bonifiche. Dobbiamo immaginare quindi in un tipico ambiente costiero “marino marginale”, ricco di risorse economiche diverse e fortemente integrate: sale, peschiere e pascoli, che furono tutte ampiamente valorizzate nel corso del tempo.

L'area del sito di Carlappiano

Nella pianura costiera del Fiume Cornia sin dal Neolitico è attestato lo stanziamento di gruppi umani che si avvantaggiavano delle risorse rese disponibili dalla presenza delle acque salmastre. Tra il Bronzo finale e la prima Età del Ferro sui cordoni sabbiosi costieri è documentata la presenza di stanziamenti, tra i quali è presente anche la stessa duna di Carlappiano. Tra le attività documentate all’interno di queste occupazioni vi è anche quella dello sfruttamento del sale. I rinvenimenti ceramici provenienti dalla duna di Carlappiano attestano un’occupazione stabile del sito a partire dal I secolo a.C. che si protrae fino alla tarda antichità (VII secolo d.C.), rimandando alla presenza di un insediamento con aspetti probabilmente legati alla produzione. La frequentazione del sito è attestata a livello archeologico anche durante l’Alto Medioevo e grazie anche all’ausilio dei documenti storici, è possibile inquadrare il sito all’interno di una più ampia cornice di carattere economico e giuridico che riguarda buona parte della bassa valle del fiume Cornia. Quest’ultima, così come la vicina Val di Pecora, con le sue importanti risorse (il sale su tutte) fu lungamente una proprietà pubblica, saldamente controllata dal fisco. La curtis di Franciana, in particolare, comprendeva buona parte della valle del fiume Cornia ed includeva i boschi delle colline interne, le pianure, le lagune, le peschiere e naturalmente gli approdi offerti dalle insenature costiere.

Le aree di indagine

Lo scavo archeologico

L’area scelta per la campagna di scavo è stata individuata sulla base di precedenti indagini di telerilevamento (analisi di foto aeree, in particolare volo IGM 1938), dalle quali si evidenzia la traccia di un probabile fossato che si inserisce a sua volta all’interno di una fitta rete di numerosi paleoalvei. L’indagine ha preso avvio con una campagna congiunta di survey ed attività di diagnostica archeologica (magnetometria; rilievo ad alta risoluzione tramite UAV; hhXRF; carotaggi manuali). I risultati di questa prima fase di indagine hanno permesso di acquisire un ulteriore nucleo di materiali da superficie e di delimitare con maggiore precisione l’estensione dell’anomalia. L’effettuazione di una serie di carotaggi e piccole trincee ha inoltre consentito una ulteriore selezione delle tre aree sulle quali sono state effettuare le indagini di scavo: Area 1000 (corrispondente alla trincea T1); Area 2000 (corrispondente alla trincea T7); Area 3000 (corrispondente alla trincea T3).

Le aree di indagine

Area 1000

E' localizzata nella parte nord orientale del sito, in corrispondenza del limite dell’anomalia individuata da fotografia aerea e confermata dalle indagini geomagnetiche. Si tratta di un settore di forma rettangolare di 5×6 m che ha ampliato il saggio esplorativo preliminare T1. Ad una profondità di circa 40 cm al di sotto del livello arativo il saggio ha messo in luce un limite netto orientato N/S tra due strati sabbiosi molto diversi tra di loro. Le indagini hanno mostrato che il limite netto costituisce l’interfaccia di contatto tra il terreno che caratterizza la morfologia originaria del luogo, ossia la duna (US 1004) e la sponda di un canale, a sua volta riempito da limi ed argille ricche di noduli di ferro e manganese e carbonato di calcio (US1003).

Area 1000: ortofotopiano e sezione
Le aree di indagine

Area 2000

E' localizzata all’estremità meridionale dell’anomalia in corrispondenza di un tratto dal colore chiaro. La realizzazione preliminare di una trincea (T7) aveva portato all’intercettazione di una struttura muraria realizzata con l’impiego di grossi blocchi di calcare sbozzati, anche di reimpiego, orientata N/S (US 2003, 2004).

Settore A.  Le tracce di uso più antiche sono invece state riconosciute in due lacerti murari (US 2006, 2037) che delimitano ad Ovest il settore e che possono essere letti come parte di un unico allineamento orientato N/S (US 2037, US 2006). Nel primo caso (US 2037) la struttura è costituita da un unico filare di pietre di medie dimensioni (20×30 cm) legate da terra e disposte in maniera regolare, anche con l’impiego di piccole zeppe. Le pietre appoggiano direttamente sul deposito argilloso (US 2050); non sono stati riconosciuti tagli di fondazione. La presenza di labili tracce di malta sulla superficie superiore dell’allineamento può far supporre l’uso originario di leganti. Sebbene lo stato di conservazione delle evidenze emerse sia estremamente compromesso, è possibile ipotizzare che i due lacerti murari facessero parte di un sistema di delimitazione di aree aperte, forse destinate alla produzione, da mettere in relazione alla fase d’uso della canalizzazione orientata N/S individuata nel vicino settore B (US 2003, 2004).

Il settore B è localizzato nella parte centrale dell’Area 2000; la forma allungata dello stesso in direzione N/S (4,2×17,5 m) ricalca l’andamento dell’evidenza strutturale principale individuata già con l’effettuazione della trincea T7, cioè la canalizzazione US 2003-2004. I due allineamenti murari si sono conservati per una lunghezza complessiva di 12 m e rappresentano i perimetrali di una struttura di canalizzazione inclinata verso Sud e finalizzata a convogliare le acque da questa porzione di area verso il fossato circolare leggibile dalle foto aeree. Da qui le acque venivano a loro volta collegate al corso della Corniaccia attraverso una “bretella” localizzata proprio nella porzione SE dell’anomalia. L’analisi del tipo di deposito indagato in associazione ai materiali rinvenuti permette di inquadrare anche la stratigrafia relativa a questa parte dell’Area 2000 nel pieno Medioevo, in un arco compreso tra XII e XIV secolo. La natura degli strati individuati evidenzia in particolare una frequentazione dello spazio che sembra protrarsi anche oltre la fase di vita della canalizzazione US 2003-2004.

Area 3000

Al di sotto dello strato arativo è emersa una stratigrafia complessa, almeno in parte frutto di fenomeni naturali, le cui tracce più antiche sono costituite da alcune strutture murarie delle quali si conserva la fondazione ed il primo filare di pietre. Un significativo evento alluvionale testimoniato dall’accumulo di uno strato di sedimenti grigi e gialli presente in gran parte del saggio, ad esclusione della porzione Est (posta a quota maggiore), segnò l’inizio dell’abbandono definitivo delle strutture che qui, come nella vicina Area 2000, furono costantemente soggette ad inon-dazione. Mentre tuttavia le evidenze individuate nell’Area 2000 sembrano essere direttamente correlate ad attività produttive, le murature e gli spazi dell’Area 3000 appaiono piuttosto come strutture di servizio o possibili magazzini.

Area 3000
Area 3000 : ortofotopiano

Interpretazioni conclusive

l primo dato che emerge con notevole certezza dai dati raccolti è il carattere produttivo e stagionale dell’insediamento; ciò è testimoniato dall’assenza di veri e propri strati di vita relazionabili alle strutture rinvenute. Le murature rinvenute nell’Area 2000 in particolare si configurano come apprestamenti di natura produttiva, che trovano nella canalizzazione centrale il loro asse centrale. L’assenza di adeguate fondazioni, la natura dei leganti e la qualità delle strutture stesse fanno dubitare inoltre che esse potessero avere un significativo sviluppo in elevato.

La struttura per la quale risulta evidente un maggiore investimento è certamente la canalizzazione centrale, la quale si collega a sua volta al più ampio canale che circonda questa porzione della duna (Area 1000): queste opere di regimazione e drenaggio sono state evidentemente giudicate cruciali da chi decise gli investimenti sul sito. Le cronologie tuttavia potrebbero divergere sensibilmente, poiché il fossato sembra delimitare l’area di occupazione dell’altura anche nelle epoche più antiche, a giudicare dall’area di concentrazione dei materiali rivenuta in superficie. Più che un investimento ex novo, il fossato potrebbe essere stato un’opera preesistente rinnovata e migliorata nel corso del tempo per adattarla alle esigenze del sito. A breve distanza (Area 3000), murature più robuste definiscono una serie di ambienti rettangolari, addossati gli uni agli altri: si tratta probabilmente di magazzini, o comunque di strutture collaterali a quelle aree aperte e canalizzate descritte per l’Area 2000. Anche in questo caso, al di là di qualche traccia di uso tarda, lo scavo non ha evidenziato la presenza di focolari o battuti che testimonino un uso continuativo degli spazi con fini abitativi.

Sulla base di quanto esposto e del quadro ambientale ricostruito riteniamo di poter interpretare le strutture rinvenute a Carlappiano come apprestamenti del ciclo produttivo del sale, risorsa economica centrale di quest’area costiera per un arco cronologico amplissimo, tanto nota dai documenti quanto invisibile per l’archeologia del Medioevo. È infatti proprio in luoghi prossimi al mare ma riparati e sicuri, e soprattutto con disponibilità di acque dolci, che le saline trovano il loro perfetto impianto. Il ciclo produttivo del sale prevede di passare per gradi successivi di concentrazione ed in genere attraverso vasche progressivamente più piccole, dall’acqua del mare (contenuta in grandi vasche evaporanti) alla salamoia (raccolta in vasche più piccole, dette salanti). Il sale così ottenuto veniva infine lavato con acqua salata al fine di depurarlo e poi accumulato in piazze asciutte ed eventualmente stoccato in magazzini. L’acqua dolce in questa serie di passaggi era essenziale, poiché serviva a regolare il grado di concentrazione dei sali all’interno della soluzione durante il processo di evaporazione.

Le condizioni geomorfologiche dell’area di Carlappiano  ne fanno un sito ideale per la collocazione degli impianti produttivi di una salina ad evaporazione. Le aree topograficamente più basse circostanti la duna potrebbero essere state facilmente utilizzate per ospitare le vasche evaporanti, cioè quelle di dimensioni maggiori, direttamente collegate al mare. Le evidenze rinvenute dallo scavo sulla duna sono specificamente collegabili alle fasi di concentrazione della salamoia, durante le quali era necessario l’apporto eventuale di acqua dolce per controllare la precipitazione dei sali di magnesio e servivano piazze aperte dove il prodotto finale potesse essere lasciato ad asciugare. A queste ultime fasi riferiamo in particolare le aree delimitate da bassi muretti identificate nell’Area 2000, e proprio l’accumulo di sale in quest’area potrebbe essere responsabile dell’impoverimento di elementi chimici sul suolo registrato dalle analisi XRF.

Ricostruzione tridimensionale

La ricostruzione ha interessato un transetto rettangolare con orientamento N/S di circa 880×1330 m, per un’area totale di 117 ha. Esso contiene al suo interno, oltre alle aree di scavo, anche il contesto ambientale circostante, nella convinzione che questo sia fondamentale per la corretta comprensione di ogni contesto archeologico ed ancor più per un sito produttivo come Carlappiano. Per quanto riguarda nel dettaglio la zona di Carlappiano, ci pare convincente l’ipotesi che la laguna lambisse il limite Sud del cordone dunale sul quale si imposta il sito. Questa tesi sembra corroborata da alc ne evidenze della cartografia storica che segnalano, proprio nel punto di contatto tra la duna costiera e la pianura interdunale, lo sbocco del fiume Corniaccia nella laguna, segnato da un’area di più lento scorrimento delle acque. Sulla base dei dati di scavo si è proposto di interpretare l’Area 2000 come luogo dedito alla fase ultima del processo di estrazione del sale, durante la quale il prodotto è posto ad essiccare al sole ammassato in cumuli, con una metodologia attestata sia nel contemporaneo dalle saline di Trapani, di Margherita di Savoia e di Cervia, nonché in epoca moderna nelle ormai dismesse saline di Portoferraio. L’edificio rinvenuto nell’Area 3000 è stato ricostruito nella fase che vede la presenza di due corpi di fabbrica, con il più antico descritto dalle US 3027, 3017, 3068 e 3066, e quello più recente ad esso appoggiato, delimitato dalle US 3030 e 3076.

Basandosi sui dati cartografici, le vasche sono state ipotizzate su un’area di circa 4 ha, posizionata ad Ovest dell’anomalia circolare, caratterizzata dalla presenza di un sistema di infrastrutture viarie ben evidenziato dalla cartografia storica. Una seconda ipotesi propone di collocare l’impianto delle vasche nell’area immediatamente a Sud dell’anomalia circolare, compresa tra la laguna, il fossato ed il corso del Corniaccia, una zona dal posizionamento particolarmente vantaggioso per le operazioni connesse al ciclo produttivo ma maggiormente esposta a possi- bili eventi alluvionali del fiume. Gli impianti proposti riproducono il sistema descritto da Agricola nel capitolo XII del De re metallica, che prevedeva l’uso di tre diverse tipologie di vasche di differente dimensione per la graduale evaporazione dell’acqua, del quale abbiamo già avuto modo di accennare in altra parte del contributo.

Ricostruzione tridimensionale

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